La montagna, le aree interne, i borghi e le terre alte negli ultimi mesi hanno conquistato una centralità inaspettata e decisamente impegnativa da gestire, spiegare e sostenere.
La pandemia di Covid-19 che ha colpito l’Italia, in modo violento e inaspettato, ha di fatto aperto una riflessione su tutta una serie di aspetti della nostra socialità che ormai davamo per scontati e assodati. In modo specifico la questione degli spazi e della distanza sociale. È in questo quadro di messa in discussione dell’ovvio e della normalità, ormai perduta, che la montagna e gli spazi aperti di cui essa per sua stessa natura gode hanno preso la scena e da protagonisti hanno indirizzato un dibattito inimmaginabile fino a qualche mese fa. Il dato ancora più rilevante è determinato dal fatto che questo dibattito sul ruolo della montagna al tempo del Covid ha fatto emergere in modo pubblico ed esteso un altro tema che prima era dibattuto e affrontato solo dagli addetti ai lavori: la montagna come nuovo paradigma della società contemporanea o meglio ancora la montagna come elemento catalizzatore delle nuove sfide politiche e sociali del nostro tempo.
A questo proposito è interessante vedere come già nel 2015 la Delegazione Piemontese dell’UNCEM abbia prodotto un importate documento sulla rivitalizzazione e il ripopolamento della montagna: Borghi Alpini, perché il ritorno alla montagna è possibile
Lo straordinario lavoro di mappatura e di scoperta delle nuove realtà che sull’intero arco alpino del Piemonte si stavano adoperando per rilanciare un nuovo modello di vita nelle terre alte ha rappresentato uno spartiacque. Non solo perché fissa un punto al quale guardare e dal quale ripartire ma anche perché traccia in modo sistematico una serie di sfide e obiettivi che oggi sono gli argomenti principali del dibattito in corso.
In questo senso la montagna diventa un elemento di sfida e una “provocazione” per riflettere su quale futuro vogliamo per i nostri territori. Discutere infatti di clima e di biodiversità non vuol dire soltanto proteggere aree specifiche dell’ecosistema alpino o appenninico, significa trovare un terreno su cui aggregare consensi, partecipazione e conoscenza in stretto rapporto con le valli e le metropoli.
Nell’interessante libro curato da Antonio De Rossi, Riabitare l’Italia edito da Donzelli, con la partecipazioni di autorevoli protagonisti del dibattito contemporaneo sulle aree interne e montane, si parla di come la geografia in Italia abbia prodotto e determinato aree in cui l’accesso ai diritti è favorita rispetto ad altri dove, spesso, gli stessi diritti rappresentano quasi un privilegio.
“Le differenze tra cittadini su base territoriale mettono a nudo come uno dei principi fondanti della nostra Carta Costituzionale sia ancora tutto da mettere in pratica” (cit. Riabitare l’Italia, Carrosio-Faccini, Donzelli Editore.
Lo stesso paradigma che ha visto una contrapposizione tra nord e sud del paese adesso è diventato un fattore di rappresentanza e di rimostranza da parte di certi territori, trasversalmente al nord come al sud.
È il tema della connessione e dell’accesso alla rete dati: la banda ultra larga è una questione che entra nel vivo del problema e fa tremare un nervo scoperto, cioè l’impossibilità di una fetta comunque rilevante di cittadini di accedere in modo adeguato ai servizi finanziari, all’informazione, ai servizi della pubblica amministrazione, ai saperi e alla formazione. Rappresenta ulteriormente un problema per chi ha deciso di lasciare la città e provare a ricostruire o trasferire la propria vita e la propria professionalità sulle terre alte.
È un problema di cittadinanza e di possibilità di praticarla in modo pieno e appagante.
Se da un lato si tratta di emancipare chi già vive in montagna da limiti superabili e capaci di ridefinire un più ampio perimetro nel quale vivere a pieno i propri diritti di cittadinanza, dall’altro, risolvere la questione della digitalizzazione e della connessione significa poter immaginare la montagna come un insieme di aree nelle quali far nascere attività economiche legate al Green Deal, alla manutenzione del territorio, al turismo lento e sostenibile, ad una nuova agricoltura innovativa e capace di definire un rapporto con il territorio meno invasivo e destrutturante.
Contrastare l’abbandono, vuol dire evitare il degrado, significa provare a dare una nuova possibilità a quello che per decenni è stato inquadrato come il mondo dei vinti provando a invertire la rotta.
La complessità del nostro tempo però richiede molta energia, tanta competenza e una forte predisposizione alla cooperazione. Guardare fuori dai propri orizzonti e non avere timore di importare novità, idee e competenze sulle montagne.
La sfida è quella di generare valore aggiunto: l’unica possibilità è quella di costruire interconnessioni con altri sistemi sociali, economici e culturali per generare un processo di rinvigorimento e rafforzamento di opportunità e nuove identità ibride.
In modo particolare la montagna riconnette le nostre società con il senso del limite, quello strano confine che separa quello che non conosco e non so se posso fare, da quella che è la comfort zone di agibilità. Purtroppo questo confine è costantemente rotto in modo scriteriato, potremmo riassumerlo in questo modo: io provo ad andare oltre, se poi combino un danno, un rimedio lo troverò.
Il senso del limite è quel misto di istinto ancestrale e raziocinio che aiuta l’essere umano ad osare ma cercando di comprendere e conoscere, cercando di evitare un passo falso. È una forma di rispetto e umiltà che ci riporta al nostro essere mortali, meccanismi di un ingranaggio e talvolta azionatori della leva: è importante cercare di non azionare le leve sbagliate.
Dentro questo panorama la Montagna può diventare quello che per anni le periferie delle metropoli hanno rappresentato: uno spazio fisico e mentale dal quale provare a ripartire per generare un cambiamento collettivo.
Oggi parlare in montagna di cittadinanza, sviluppo economico e tutela del territorio, progettazione architettonica, salvaguardia degli ecosistemi, nuove identità e processi relazionali rappresenta un nuovo paradigma sociale e politico che rilancia al centro campo una serie di priorità collettive che per troppo tempo sono state tralasciate.
A beneficiare di tutto ciò non saranno soltanto coloro che per scelta, per esigenza o per possibilità hanno deciso un ritorno alla vita sulle terre alte, ma sarà l’occasione per tutti noi di rimettere in fila priorità che riguardano la nostra vita, presente e futura.
Federico Bernini