Proviamo ad aggiungere un tassello alla nostra riflessione sulla montagna e sulle possibili opportunità di sviluppo visto il ruolo sempre maggiore che sta acquisendo nella nostra società.
Come spesso accade, parlando di montagna si rischia l’inciampo o in una visione edulcorata, arcadica, di ritorno alla natura e a paesaggi incontaminati, incorruttibili e prossimi alla ricomposizione pacifica tra uomo e natura; oppure nell’esatto opposto che vede la montagna come un luogo di solitario isolamento, di sacrificio e di rinuncia a tutto quello che la dimensione contemporanea della socialità e delle occasioni di crescita culturale possono portare.
Possiamo provare ad affrontare questa dicotomia da molti punti di vista: oggi partiamo da un articolo uscito qualche giorno fa sul quotidiano La Repubblica e che ci porta a conoscenza di un interessante progetto sulla montagna: Forest Sharing.
Il progetto nasce in Toscana da un gruppo di giovani universitari under 34 che hanno tirato su una piattaforma di intermediazione tra aziende, che si occupano di manutenzione boschiva a tutti i livelli, e i proprietari di boschi ormai rassegnati al fatto che il proprio pezzo di terra boschiva rappresenti solo un peso, se non addirittura un costo.
Di fatto un’impresa che nel cercare di far incontrare domanda e offerta, consente di rinnovare e sostenere la manutenzione e il recupero delle aree boschive abbandonate o comunque mal curate.
Questa scelta ha un doppio livello di conseguenze: da un lato si produce reddito e si genera un virtuoso processo di economia circolare che vede tutti gli attori di questo sistema portatori e beneficiari di un interesse specifico, dall’altro la manutenzione del territorio boschivo consente di mantenere vivo l’ecosistema che lo abita e rappresenta un processo indispensabile di sostenibilità ambientale, prevenzione del dissesto idrogeologico e degli incendi.
Ferdinando Cotugno, con il suo ultimo libro, Italia Wood, edito da Mondadori lo scorso anno, lo dice chiaramente: dal 1936 ad oggi le aree boschive in Italia sono raddoppiate ma non ci siamo posti il problema di come gestirle, proteggerle, conservarle e farle essere un asset di sviluppo economico e di produzione di occupazione.
Il punto forse sta qui, provare ad uscire dalla dicotomia che vede nella montagna un’area di riappacificazione con la natura da un lato e dall’altro un luogo dove, per creare reddito e occupazione, si percorre in modo ottuso e intensivo il turismo dei grandi impianti di risalita con una stagionalità che rende precario, di fatto, chi lavora e chi crea impresa.
Sarebbe importante tornare a guardare alle diverse soluzioni di equilibrio, quelle capaci di ridefinire la montagna come un ecosistema sociale, culturale ed economico nel quale ogni segmento rappresenta un pezzo di quel processo di sostenibilità, di ricerca del benessere e di stabilità in grado di fornire le condizioni base per le quali la vita sulle terre alte sia possibile e gratificante.
In questa direzione la compenetrazione tra attivazione di percorsi di accoglienza turistica e quelli di rivitalizzazione di economia reale, collegata alla produzione e alla valorizzazione delle risorse materiali, agricole, agro-forestali, energetiche dei territori montani, può indicare una strada da intraprendere per provare a costruire un sistema ed un modello per le aree interne e montane.
È sempre in questo senso che quando abbiamo appreso del progetto di impresa di Forest Sharing siamo rimasti felicemente impressionati, ma soprattutto abbiamo pensato che forse stanno nascendo le condizioni perché una rete di imprese che hanno scelto di investire sulla montagna e in montagna come prospettiva futura di innovazione, creatività, sostenibilità e sviluppo, prenda corpo e inizi a dialogare su un orizzonte comune.